Il convento di San Francesco unitamente alla Chiesa costituisce dal 1995 il Museo comunale.
Fu costruito all’inizio del XIV secolo sul lato della chiesa esposto a nord e contestualmente ad essa, imperniato probabilmente sulle rovine del Castel Vecchio. Il corpo di fabbrica più antico, è costituito da una costruzione posta trasversalmente rispetto alla chiesa in corrispondenza del massiccio campanile. Nel 1473 il papa Sisto IV, che era stato Ministro generale dell’Ordine dei minori, dispose con un breve che i conventi potessero vendere beni e terreni ricevuti in dono, per la realizzazione di opere necessarie al decoro degli edifici. Così, cospicue somme di denaro provenienti dall’alienazione di alcune case e terreni, insieme alle largizioni di diversi benefattori, produssero sul volgere del secolo XV grandi lavori di ammodernamento del convento, a cominciare dalla sacrestia della chiesa, la condotta per la cisterna dell’acqua, il dormitorio e altri, che si concretizzarono durante la prima metà del Cinquecento anche, con la realizzazione del nuovo chiostro.
Due saloni e due ali della struttura claustrale, ospitano la pinacoteca comunale. La raccolta è costituita da opere
pittoriche, sculture, argenterie e tessuti che provengono dalle chiese della città.
Tra le opere conservate sono degne di una menzione speciale la Deposizione lignea proveniente dalla Pieve di San
Gregorio Magno e la Madonna della misericordia di Bartolomeo Caporali.
Per l’esiguità numerica degli esemplari sopravvissuti, sia perché è la testimonianza figurativa più antica del
patrimonio artistico montonese, la Deposizione lignea, della seconda metà del XIII secolo, costituisce l’opera di maggior interesse conservata nel museo.
Legata all’ambiente devozionale benedettino cui afferivano i territori montonesi almeno dall’XI secolo, come altri gruppi simili, era conservata nell’antichissima Pieve.
La Deposizione non aveva funzione strettamente decorativa: non era sempre esposta alla devozione dei credenti, ma custodita nell’altare, era funzionale alle cerimonie cultuali del Venerdì Santo, usata nelle processioni e anche, in funzione drammatica, nelle sacre rappresentazioni che si svolgevano sia all’interno che all’esterno delle chiese.
Mostra nell’esecuzione esperienze di area toscana e marchigiana, risultato della diffusione delle conoscenze fra le maestranze, sulle vie comunicazione tra l’aretino e il versante adriatico degli appennini, che si snodano nella valle del Tevere intorno a Città di Castello.
Tutti i legni del gruppo hanno subito oltre ad un incendio, mutilazioni e rifacimenti nel tempo, per essere adattate
ad esigenze diverse, compresa quella di essere rivestiti di abiti in particolari occasioni, tradizione protrattasi fino agli anni cinquanta del ‘900.
Il restauro e la ricomposizione del gruppo ne hanno permesso le datazione tra il 1260 e il 1270.
L’altare in San Francesco, dedicato a Maria e voluto dalla comunità nel 1471, dal 1482 ospitava la grande tela della Madonna della Misericordia o il “Gonfalone”.
Dipinto da Bartolomeo Caporali, raffigura Maria nell’atto di proteggere, con il proprio manto, la popolazione e la città dai dardi dell’Onnipotente; attorno alla Vergine i santi protettori della città e i santi; sotto il manto, a semicerchio il popolo in moltitudine; ai piedi la fedele riproduzione della città prima della distruzione della rocca.
In basso, fugge la morte, dalla lunga falce.
Sebbene la composizione sia tradizionale, l’opera segna la svolta rinascimentale della carriera del Caporali, mostra esperienze fiorentine e l’incontro con la giovane generazione dei pittori perugini e in particolare con Pinturicchio; tutto ciò è evidente nel gusto per la descrizione delle vesti, nella sinuosa e morbida posa di Maria, nella bellezza del suo volto. E nel giudizio di Maria Rita Silvestrelli “Questo gonfalone può essere considerato l’esemplare più alto fra i tanti usciti dalle botteghe perugine”.